LA COMUNITA’ E L’INDIVIDUO IN KENYA

LA COMUNITA’ E L’INDIVIDUO IN KENYA

Il 27/04 la Commissione formazione dell’ACCRI si è incontrata (da remoto) con i volontari residenti in Kenya, per effettuare il meeting mensile focalizzato sulla spiritualità antropologica. La Commissione era presieduta da Claudio Filippi, Laura Ursella e don Mario Del Ben. Ma quel giorno un altro illustre ospite ha preso parte a questo collegamento virtuale: don Piero Primieri, ex parroco di Iriamurai -Mutuobare.  Don Piero ha vissuto in Kenya per 49 anni, passandone oltre 20 nella zona di Iriamurai, dove i volontari attualmente risiedono, per questo la sua presenza è stata una possibilità unica per ascoltare qualche storia ed esperienza dell’ex missionario.

Il concetto di fede

L’argomento centrale del discorso è stato sollevato da don Mario, il quale ha chiesto ai volontari cosa ne pensassero del concetto di fede in questa zona rurale e periferica del Kenya centrale. Non è stato semplice rispondere a questa domanda così complessa, ma dopo le considerazioni dei volontari, don Piero ha preso la parola, effettuando un’analisi davvero affascinante e rivelatrice. Ha spiegato come la fede, nelle popolazioni kenyane, non sia soltanto un concetto di credenza ultraterrena, ma un vero fattore di unità sociale. Il concetto di non-credere, in questo Paese, risulta inaccettabile, non tanto per una forma di bigottismo, quanto per un senso di unità che la fede evoca, qualunque essa sia. È stato straordinario scoprire, tramite i racconti di don Piero, che a Nairobi è stata eretta una chiesa per i non credenti, gli atei. Sembrerebbe questo un ossimoro, ma di questo si tratta: sebbene non si creda in nulla, bisogna comunque riconoscersi in un gruppo, e vivere insieme questa comune credenza.

Riconoscersi

Ecco perché la fede è fondamentale in Kenya, perché permette di riconoscersi all’interno della comunità, di essere parte di essa, visto che il concetto di individualismo, come lo intendiamo noi, sembra del tutto inaccettabile e incomprensibile qui, in Kenya. Questa speciale osservazione di don Piero ha mostrato quanto solo una lunga esperienza di vita in questi paesi possa permettere una visione accurata di questi aspetti culturali, che a nuovi occhi possono sembrare, a volte, privi di senso. Il sacerdote ha voluto sottolineare come questa mentalità sia un derivato del passato (e presente) kenyano di stampo fortemente tribale e clanico, in cui il gruppo è tutto e l’individuo, da solo, non esiste. Ha inoltre spiegato che, grazie a questo aspetto socio-culturale, il cristianesimo ha avuto un terreno fertile in Kenya, vista la sua visione comunitaria e di sostegno reciproco. Ma di certo non potevano scomparire le abitudini precedenti, per questo si è sviluppato un certo sincretismo da passato “animista” e presente “cristiano”. Ascoltare queste parole e questi racconti è stato per noi volontari un vero dono, che don Piero ha deciso di condividere con tutti i partecipati dell’incontro. L’esperienza di vita dello Mzee (così veniva chiamato don Piero dalla comunità, “vecchio”, in segno di rispetto) è una fonte di conoscenza enorme, che rapisce e affascina. È stato un privilegio poter ascoltare questi racconti così veri, così autentici, così nostalgici. A volte, noi che siamo qui ad Iriamurai, ci immaginiamo father Peter che passeggia nel compound della parrocchia, chiacchierando con la comunità e vivendo insieme ad essa. E ci rendiamo conto che questa, per lui, è stata la propria casa.

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