Potere al cibo: esperienze di scoperta direttamente nel piatto

Potere al cibo: esperienze di scoperta direttamente nel piatto

Boule di mais e carne di gazzella selvatica ACCRI

Il mio amico Ali che vive a N’djamena, in Ciad, è stato molto sorpreso la prima volta che gli ho detto che per cena avremmo mangiato gli avanzi del pranzo. Ali vive in una famiglia numerosa e mi ha detto che da loro gli avanzi non esistono. Il cibo preparato per un pasto viene finito subito, non resta nulla da mettere da parte, anche perché pochissime famiglie hanno un frigo per farlo. Inoltre, non si aspetta chi non è in casa al momento dei pasti, nessuno pensa a mettere qualcosa da parte per i ritardatari.

Culture gastronomiche

Questi aneddoti fanno capire quanto l’esperienza con il cibo in Ciad sia lontana dalla nostra.

Negli ultimi tempi abbiamo riflettuto molto sul concetto di cultura gastronomica, una delle grandi ricchezze del patrimonio culturale italiano. Il cibo per gli italiani racchiude in sé moltissimi aspetti: unisce le persone, dà gioia, permette di nutrirsi in modo sano, produce reddito per moltissime persone. In Ciad il cibo va conquistato: bisogna trovare i soldi per fare la spesa e provare a mangiare a sufficienza per arrivare a fine giornata. Esiste una dinamica  sociale, ma quando arriva la stagione delle piogge procurarsi del cibo diventa una sofferenza.

Dopo lunghe osservazioni e dopo molti pasti consumati alla ciadiana, possiamo dire che la varietà di ingredienti è minore rispetto a quella che si trova in Europa e che le persone sono molto abituate a mangiare le stesse cose: la pietanza base è la boule (pronuncia bul), una polenta che nella zona di Gagal si prepara spesso con mais, manioca o un misto delle due farine.

Boule di miglio bianco e salsa gombo (okra) con pollo ACCRI
Boule di miglio bianco e salsa gombo (okra) con pollo. Immagine in alto: boule di mais e
carne di gazzella selvatica

La boule dei ciadiani è sempre accompagnata da una salsa – e qui dobbiamo autodenunciarci dicendo che a volte noi la scaldiamo secca, senza salsa, consapevoli di commettere un “crimine internazionale contro il Ciad”. Le salse sono in sostanza erbe cotte, un po’ come le foglie di spinaci. Alcune vengono piantate, altre crescono spontanee e devono essere raccolte nel “bosco”. Noi ci siamo abituate a mangiare i piatti tradizionali del Ciad ed abbiamo ormai le nostre preferenze. La salsa dell’etnia Ngambay, maggioritaria a Gagal, si chiama “sauce longue” ovvero salsa lunga. Perché lunga? Perché le foglie di cui è fatta le danno una consistenza molto filamentosa e “bavosa”. Non è la nostra salsa preferita, a dispetto delle lunghe ore di preparazione che necessita. Per ora la salsa che ci piace di più è quella a base di foglie di manioca.

Foglie di manioca e la manioca tubero ACCRI
Foglie di manioca e la manioca tubero

Mercato ed osservazioni in cucina

Vivere a Gagal significa naturalmente nutrirsi di quello che offre il mercato, che nei mesi della stagione piovosa diventa ancora più sfornito. Si trovano mais, fagioli e riso sfusi, pasta di bassa qualità in sacchetti, cipolle e aglio, pasta ed olio di arachidi, spezie e molte foglie. Un giorno abbiamo chiesto a Jonas, il vivaista del nostro progetto a Gagal, se al mercato ci fossero “altre cose da mangiare” e lui ci ha lanciato uno sguardo stupito, quasi non avesse ben capito la domanda. Cucinare le foglie è stato quindi un passaggio obbligato della nostra permanenza a Gagal. Quando ne negoziamo l’acquisto – al mercato nulla ha un prezzo fisso, bisogna provare a strappare degli sconti – chiediamo informazioni sulla preparazione della salsa e la risposta che otteniamo varia tra “si prepara con la carne” oppure “si mangia con il pesce”. Ringraziamo sempre per questa risposta che però non ci aiuta a fugare i nostri dubbi e non ci dà indicazioni su come cuocere concretamente le foglie appena acquistate.

le arachidi semplici
o grigliate vengono imbottigliate ACCRI
La pasta di arachidi si compra in sacchetti
le arachidi semplici
o grigliate vengono imbottigliate ACCRI
Le arachidi semplici o grigliate vengono imbottigliate

Recentemente abbiamo chiesto a Christophe, il secondo dei nostri vicini tuttofare, di aiutarci a cucinare, osservando il modo in cui prepara il pollo e le salse. Le nostre domande sono state tipicamente occidentali, come per esempio “quanto tempo ci vuole?”, “quante cipolle hai messo?”, “quanto riso hai pesato?”. Le risposte di Christophe sono state laconiche e molto schiette: per lui il peso e la quantità hanno poco significato (va a occhio) e per il tempo, beh quando è pronto è pronto, no?

Abbiamo anche imparato che di norma non si fa la scorta di foglie, ma che si comprano di preferenza il giorno stesso in cui saranno cucinate. In pratica il mercato è un’attività quotidiana, ci si va tutti i giorni e nel frattempo si fa anche vita sociale e si ascoltano le ultime novità.

Il cibo, comunque, rimane uno dei temi più discussi…

In generale le persone in Ciad ci fanno poche domande sulla nostra permanenza, ma quando lo fanno ci chiedono sempre come sopportiamo il caldo e se ci piace il loro cibo. Sono sorpresi di scoprire che in Italia non ci sono coltivazioni di arachidi e gli alberi di karitè da noi non crescono. Alcuni ci hanno detto che pensavano che la vegetazione in Europa fosse la stessa.

Ci siamo anche chieste se la limitatezza degli ingredienti a disposizione renda le persone poco curiose rispetto a cibi che non conoscono o che mangiano meno. Avevamo invitato alcuni giovani per una formazione che è durata due giorni durante i quali abbiamo mangiato insieme. C’era tanta boule naturalmente, ma un giorno le mama di Gagal hanno preparato del buonissimo (per noi) riso che però non è stato apprezzato dai ragazzi ciadiani. Loro avrebbero preferito mangiare ancora più boule.

Una maggiore varietà di cibo potrà essere una chiave di cambiamento e di apertura verso nuovi orizzonti?

Testo di Elisa Agosti

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